Cultura

​Coronavirus, riflessione di don Massimo Serio: “La seconda fase (esistenziale) dell’emergenza”

La Redazione
"Se ci siamo ritirati dai nostri terrazzini è perché stiamo vivendo la seconda fase (esistenziale) dell'epidemia, quella della realizzazione"
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“Perché non cantiamo più dai balconi? Tranquilli, non abbiamo perso l’entusiasmo, lo abbiamo momentaneamente riposto nella riserva.

Tornerà, e sarà per ballare sulle note di un altro brano, quello del trionfo, ma questa volta su un luogo più comodo, senza vertigini, al piano terra. Nelle piazze che tanto amiamo. Perché ci torneremo”. Don Massimo Serio, docente di scuola superiore, condivide le sue riflessioni sul difficile momento che stiamo attraversando.

“Se ci siamo ritirati dai nostri terrazzini è perché stiamo vivendo la seconda fase (esistenziale) dell’epidemia, quella della realizzazione.

All’inizio abbiamo vissuto l’esorcizzazione, il non volere (o non riuscire) a credere e quindi allontanare i fantasmi della paura, scacciarli dai balconi e dalle finestre delle nostre abitazioni, strillando con casse e microfoni, agli altri e a noi stessi, che ‘non era possibile’, ‘facciamoci una cantata, vedrete che domani passerà’, ‘stanno come al solito esagerando’.

Poi il Paese gradualmente cominciava ad essere chiuso, i morti aumentavano esponenzialmente, i malati raccontavano il tunnel in cui si entrava, gli ospedali diventavano sempre più luoghi presi d’assalto con ricoveri accatastati. Abbiamo capito. E siamo entrati nella seconda fase, quella della realizzazione. La psicologia dell’emergenza insegna che non ci può essere elaborazione del lutto se prima non si realizza la tempesta da cui si è stati colti. Era quindi inevitabile ritirarsi dai balconi.

E questa seconda fase ha un momento preciso. Anzi un fermo immagine che nessuno dimenticherà mai ne secoli futuri. L’uscita di camionette dell’esercito da alcune città lombarde che si allontanavano, in un mesto corteo, con tantissimi feretri. Al loro passaggio c’era chi si poneva sugli attenti, chi si segnava col segno della croce, chi non aveva più lacrime da versare, chi aveva l’ultimo respiro da donare. Irreale. Quelle scene hanno fatto piovere tristezza sull’intero paese. Ferito, inerme e ammutolito.

Di lì abbiamo iniziato a realizzare davvero la tragedia collettiva in cui eravamo immersi, lasciandoci alle spalle il disincanto della prima ora.

La seconda fase si manifesta naturalmente con un abbassamento del tono dell’umore, con il disfattismo, che però non bisogna temere perché è fisiologico. Ci condurrà per mano fino alla fine del tunnel, ma si porta assieme un grande rischio, ovvero l’urto dello sconforto e l’ondata della stanchezza.

Ed invece è il tempo di resistere che magari ci vedrà festeggiare un nuovo 25 Aprile. È il tempo di ritemprare il coraggio, che non è la virtù degli intrepidi, perché non è vero che il coraggioso non ha mai paura e non piange mai. Il vero coraggioso ha altre qualità. Lo riconosci dalla sua capacità di tenere fermo lo sguardo verso l’orizzonte, dalla forza di rimanere in piedi in mezzo alle macerie, dalla potenza di gridare con l’ultimo respiro che #celafaremo. Che è ben diverso da #andràtuttobene. Nel frattempo #unultimosforzo.

venerdì 3 Aprile 2020

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Maria P.
Maria P.
4 anni fa

Purtroppo dai preti non ci aspettiamo solo lezioni di psicologia ma di Fede e Speranza.