Cultura

Domenica di Carta, in Prefettura BAT la mostra “Il primo voto al femminile”

La Redazione
Organizzata dala Sezione di Archivio di Stato di Barletta, il Comune di Barletta e l'Unione Nazionale Cavalieri d'Italia Sezione Provinciale Barletta Andria Trani
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Anche quest’anno, il 10 ottobre, sarà realizzata l’iniziativa “Domenica di Carta”, promossa dal Ministero della Cultura per valorizzare l’immenso e prezioso patrimonio archivistico e librario custodito negli archivi e nelle biblioteche dello Stato.   

Il tema proposto per quest’anno è “Le storie delle donne nelle carte d’archivio”, che ogni Istituto ha potuto sviluppare sulla base del patrimonio custodito o vigilato.

In occasione della suddetta manifestazione nazionale, la Sezione di Archivio di Stato di Barletta, il Comune di Barletta e l’Unione Nazionale Cavalieri d’Italia Sezione Provinciale Barletta Andria Trani, organizzano la mostra storico-documentaria “Il primo voto al femminile”.    

La mostra, allestita con la solita ed eccezionale maestria dal FIOF nello splendido scenario del Palazzo del Governo, sarà inaugurata domenica 10 ottobre alle ore 10,00.

 La realizzazione del progetto persegue l’obiettivo di far conoscere come il diritto al voto acquisito dalle donne, in termini di elettorato attivo e passivo, è stata la perfetta occasione per dare forte e rinvigorito impulso alla parità di genere tra uomini e donne, sostanziale e non solo normativa, attraverso la promozione di azioni volte a eliminare le diseguaglianze in ambito sociale, lavorativo, politico e culturale.

 Infatti le italiane, in cinque giorni festivi dal 10 marzo al 7 aprile 1946, si trovarono di fronte al battesimo del voto, ovvero andarono a deporre per la prima volta la scheda nell’urna. Senza distinzione di censo o di cultura, signore e signorine, operaie e intellettuali erano attanagliate dall’ansia. Chi confessava che “mi tremavano le mani, le gambe, le braccia”, mentre la scrittrice Maria Bellonci riferì di aver avuto “voglia di fuggire quando mi trovai in quella cabina di legno antico con in mano il lapis e la scheda” e la romanziera Anna Banti era ossessionata dal terrore di rendere nullo quel passo.

Si trattava di elezioni amministrative. Preoccupazioni analoghe si ripresenteranno il 2 giugno dello stesso anno per la designazione dei membri dell’Assemblea Costituente e la fondamentale scelta tra monarchia e repubblica. Nonostante i diffusissimi timori femminili, però, a inciampare sulla scena politica non furono le neovotanti ma proprio i rappresentanti dei partiti di massa che si contendevano le loro preferenze, Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. I due leader del Pci e della Dc, nel decreto n. 23 del febbraio 1945, estesero il suffragio alle italiane che avessero almeno 21 anni. Però, mentre riconoscevano quell’ambìto diritto alle donne, dimenticarono la loro eleggibilità. Già, proprio così. Le donne potevano essere solo elettrici ma non elette. E questa svista verrà corretta solo nella primavera del 1946. Oggi festeggiamo i 70 anni da quello storico avvenimento che rese le donne cittadine a pieno titolo.

 Il Codice del nuovo Stato italiano, ufficialmente adottato nel 1865, che prevedeva agli art. 134, 135, 136 e 137 l’autorizzazione maritale già presente nel Codice napoleonico e nella legislazione sabauda, stabilì una posizione di sostanziale inferiorità giuridica delle donne. Parallelamente, la legge comunale e provinciale pure introdotta nel 1865, che fissava le norme per ciò che riguardava le consultazioni a livello locale, le escluse dal voto e dall’eleggibilità, non essendo presi in considerazione per le donne gli stessi requisiti di censo e di istruzione validi per l’elettorato

La decisione di ammettere le donne al voto venne presa formalmente a poco più di due mesi dalla conclusione del conflitto, ma essa era maturata fin dal 1944. Soprattutto i leader dei più importanti partiti di massa, DC e PCI, erano infatti ormai convinti, nonostante le resistenze della base, della necessità di un provvedimento che avrebbe incluso nella dialettica tra cittadini e forze politiche una componente essenziale alla vita del Paese e avrebbe inevitabilmente modificato contenuti e metodi dell’organizzazione del consenso.

 In un’Italia ancora divisa in due, con il Centro-Sud liberato e la Repubblica di Salò nel Nord occupato dai tedeschi, a Roma su richiesta di De Gasperi e Togliatti la questione venne infatti esaminata dal Consiglio dei ministri il 24 gennaio 1945. Il 30 si ebbe l’approvazione, ratificata con il decreto luogotenenziale n. 23, datato 1° febbraio 1945, un breve testo il quale stabiliva all’art. 2 che, vista l’imminente formazione nei Comuni delle liste elettorali, nelle suddette si iscrivessero in liste separate le elettrici.

 Alla vigilia delle prime elezioni in cui anche le donne vennero chiamate ad esprimere il proprio parere, nessuna forza politica poté ignorare quale enorme importanza avrebbero assunto i 14.610.845 di elettrici ovvero il 53%, che acquisirono il diritto a recarsi per la prima volta in una cabina elettorale.

 A margine di queste importanti e decisive considerazioni fioccarono, sulla stampa nazionale, gli avvertimenti su come le donne si devono comportare del tipo “Meglio evitare il rossetto quando si va a votare. La scheda va incollata. Uno sbaffo vermiglio può essere fatale!”. Ed ancora dalle cronache si apprende che “le donne sono state la grande novità di queste elezioni: popolane e signore, vecchie e giovani, sole o in compagnia. Parecchie mogli hanno potuto dividere con il marito l’attesa e poi l’emozione del voto; si sono viste giungere intere famiglie, magari divise nei pareri ma a braccetto. Anzi l’elemento femminile è accorso per primo davanti alle sezioni. Molte donne uscite dalle chiese dopo la prima Messa si sono recate subito a votare per poter tornare a casa ad accudire alle faccende domestiche…”

 La partecipazione femminile diede uno schiaffo alla politica e fu altissima, anzi molto più alta che negli altri paesi europei: le votanti furono l’89 per cento delle aventi diritto, ovvero il 52, 2 per cento dell’elettorato, con una differenza irrisoria rispetto agli uomini. L’astensionismo femminile fu inferiore a quello maschile, sempre al contrario di quel che avvenne in altri stati del Vecchio Continente. Le donne, poi, andarono alle urne più nei paesi piccoli che nelle grandi città, in numero maggiore dei votanti maschi del Sud e assicurarono la loro presenza più alle elezioni politiche del 2 giugno che non alle amministrative. Cancellando il pregiudizio di avere più a cuore gli interessi di casa e bottega che non quelli del Paese.

 Si trattava di un primo passo, ottenuto grazie al ruolo fondamentale svolto da tante donne durante la Resistenza e che avrebbe poi trovato formale riconoscimento nella Costituzione promulgata nel 1948, di un lungo e faticoso percorso di emancipazione che tante tappe avrebbe ancora dovuto affrontare, e che per molti versi ancor oggi non può dirsi concluso. A settantacinque anni di distanza, in un paese ed in una società profondamente diversi, ma ancora debitori delle lotte e delle conquiste di allora, è necessario ricordare le vicende e le protagoniste di quella stagione.

 

              Michele GRIMALDI 

      Direttore Archivio di Stato di Bari Barletta e Trani

 

sabato 9 Ottobre 2021

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