L'intervista

Il ruolo della prova scientifica nel processo penale, parlano gli esperti

Cosimo Giuseppe Pastore
Un convegno a stampo criminologico-criminalistico per analizzare il ruolo della prova scientifica durante le indagini
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Quale il ruolo della prova scientifica nel processo penale e quale l’atteggiamento dell’investigatore sulla scena del crimine? Queste le domande che hanno introdotto il convegno criminologico-criminalistico, tenutosi nel pomeriggio del 19 ottobre presso il Future Center di Barletta, dalle quali si è dato vita ad un’occasione di alta formazione professionale per una sala gremita di avvocati, membri delle forze dell’ordine, professionisti interessati e studenti. Un incontro ad alto livello formativo patrocinato dall’Ordine degli avvocati di Trani, C&M Consulenti associati, S.U.L.P.L (Sindacato Unitario Lavoratori Polizia Locale), Confcommercio Barletta e dall’ANPS che ha promosso e gestito l’incontro, occupandosi del relativo accreditamento dei professionisti e degli studenti partecipanti.

Assente nel codice di procedura penale, la prova scientifica è, tuttavia, pienamente incardinata nell’ordinamento giuridico italiano. Si consente, infatti, di partire da un fatto noto dal quale, applicando leggi scientifiche, può desumersi il fatto ignoto sul quale si indaga. La prova scientifica rientra, allora, nell’alveo delle prove indirette, caratterizzandosi però per un elemento costante: tutte le prove scientifiche hanno un margine di errore. Sarà la discrezionalità del giudice a valutare la trascurabilità o meno dell’errore.

A relazionare sul tema il Dott. Giovanni Lucio Vaira, Sostituto Procuratore di Trani; il Dott. Francesco Matranga, Criminalista (già Vicequestore della Polizia Scientifica); il Dott. Michele Vitiello, Consulente Informatico forense; il Dott. Danilo Moncada Zarbo di Monforte, Psicologo Clinico; la Dott.ssa Anna Rita Costantino, Criminologa e Criminalista e il Dott. Antonio Corvasce, Criminologo e Criminalista oltre che Dirigente Provinciale del Sindacato S.I.A.P Puglia.

Ci siamo rivolti al Dottor Giovanni Lucio Vaira e al Dottor Antonio Corvasce per qualche domanda, ai margini dei loro interventi rispettivamente sulla prova scientifica nelle indagini preliminari e sulle armi da sparo sulla scena del crimine.

GIOVANNI LUCIO VAIRA – SOSTITUTO PROCURATORE DI TRANI

Come l’evoluzione scientifica degli ultimi anni ha cambiato il ruolo dei mezzi di prova scientifici all’interno del processo penale?

Li ha cambiati nettamente. Certamente i mezzi di prova adottano tecnologie che sono in evoluzione continua. A proposito però delle impronte digitali, ancorchè la tecnica si sia modificata in meglio, le impronte digitali restano lo strumento principe dell’identificazione personale perchè le impronte rimangono immodificabili e uniche durante la vita dell’uomo, proprio per questo non possono non dare la certezza dell’identificazione di una persona.

Oltre alle impronte digitali si è parlato anche della scansione dell’iride e dell’orecchio: c’è una gerarchia tra i tre mezzi di prova?

No, non c’è alcuna gerarchia perchè tutte queste parti del corpo umano non sono modificabili nel corso della vita. Vero è che sono manipolabili.

Usando l’acido, per esempio, possono essere cancellate le impronte digitali delle dita; usando una lente colorata può essere modificata l’iride dell’occhio; intervenendo meccanicamente sull’orecchio, potrebbe essere tagliata una parte del lobo. Però se questi interventi manipolativi non vengo applicati, certamente sono tre parti del corpo umano che non possono modificarsi. Rimane, tuttavia, l’impronta digitale il mezzo principe dell’identificazione.

Quanto eventuali modifiche simili potrebbero complicare le indagini?

Possono complicarle notevolmente perchè possono variare la comparazione conducente. Due impronte digitali sono uguali se coincidono per forma e posizione in diversi punti e diverse minuzie.

ANTONIO CORVASCE – CRIMINOLOGO E CRIMINALISTA

Lei ha trattato della presenza di armi da sparo sulla scena del crimine: quale sarà, in questa circostanza, l’approccio dell’investigatore al caso?

La conoscenza del funzionamento delle armi da sparo sicuramente agevola l’investigatore nella lettura dei segnali che la scena del crimine sollecita. Mi riferisco alle red flags, le bandierine rosse che ci fanno capire se ci troviamo davanti ad una situazione di ‘staging’ (lett. messa in scena ndr) voluta o magari procurata da chi per primo calca la scena del crimine per imperizia o per negligenza.

E’ quindi necessario che l’investigatore conosca il meccanismo di funzionamento delle armi, in quanto conoscendolo potrà da subito capire che tipo di arma è stata utilizzata: se si tratta di una comune pistola da sparo o anche di un’arma a salve modificata.

Occorre ricordare che in questo ultimo periodo quasi tutti gli omicidi che sono avvenuti in zona sono avvenuti a mezzo di armi giocattolo. Quindi la conoscenza delle armi indirizzerà immediatamente l’investigatore in maniera più appropriata e gli consentirà di ricercare un’arma giocattolo modificata piuttosto che un arma comune da sparo. Questo farà perdere meno tempo e ci sarà meno dispersione delle indagini.

domenica 22 Ottobre 2017

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